Faccio parte di quella generazione che non ha conosciuto le punizioni corporali a scuola. Sono cresciuto con i racconti di mio padre in ginocchio sui ceci e con i ricordi di mia mamma delle bacchettate sulle mani. Tra le due punizioni credo avrei scelto la prima, e non certo perché sono vegetariano e necessito di assumere proteine dai legumi.
Non sono un pedagogo e non sono nemmeno uno psicologo quindi non chiedetemi se io sia favorevole o meno alle punizioni corporali. Quando le hanno vietate nel Regno Unito, s'è sollevato un polverone. Il che non vuol dire che si stesse cercando di abolire qualcosa di positivo ma tant'è: riportare proteste di ogni tipo sembra essere un'attività molto giornalistica. Ogni tanto credo che le punizioni corporali possano essere una estrema ratio per gli alunni più indisciplinati, ogni tanto credo siano la dimostrazione del fallimento di un insegnante. Sono fatto così: passo da una posizione all'altra con molta disinvoltura.
Io comunque una punizione corporale l'ho subita. Certo, il tempo avrà probabilmente distorto i miei ricordi, però credo di poter essere in grado di ricordare i fatti principali. Era un sabato ed io andavo ancora alle scuole elementari di via Rosmini. Quando mia sorella si trasferì in via Rosmini io ero molto felice perché già immaginavo di poter uscir da scuola ed andare a causa sua a mangiare. La cosa non durò molto: il comune decise di accorpare la mia scuola con quella in centro al paese ed io tornai ad essere lontano da essa. Questo avrebbe dovuto insegnarmi che non sempre i desideri si realizzano ma ero troppo addolorato per impararlo e tuttora continuo a credere nei sogni.
Era sicuramente un sabato perché ricordo che mia zia Gabriella venne a prendermi all'uscita. A me piaceva quando la zia veniva a prendermi a scuola: ogni volta ci fermavamo alla cartoleria di via Chiesa ed io tornavo a casa con qualche giocattolo. Ricordo ancora l'uovo di dinosauro che si trasformava...in un dinosauro.
Il mio rendimento scolastico era medio-alto: apprendevo in fretta, ero attento e partecipavo attivamente alla lezione. Probabilmente ero anche particolarmente irritante e cercavo di attirare l'attenzione in tutti modi ma queste sono cose che dovrei chiedere a chi mi curava.
Il mio compagno di banco si chiamava Davide, abitava vicino a casa mia ed aveva un gioco che io invidiavo tantissimo: un plastico di una ferrovia, completo di treni, scambi e passaggi a livello. Ovviamente lo aveva a casa, non in classe. Io e Davide parlavamo tanto, eravamo entrambi chiacchieroni e, si sa, questo tipo di comportamento non è particolarmente apprezzato dagli insegnati.
A proposito di insegnati, lei si chiama (o chiamava, non so se sia morta) Sorrentino. Il nome non me lo ricordo nemmeno e questo contribuisce a renderla ancora più distante di me. Non credo le stessi molto simpatico ma lei era la maestra unica della mia classe e quindi dovevo tenermela. Dunque, quel sabato c'era lezione di matematica e noi, per imparare a distinguere unità, decine e centinaia usavamo i regoli colorati. Ogni regolo di colore differente rappresentava una differente unità. Disegnare rettangoli colorati non mi piaceva, io preferivo fare le operazioni e quindi, per annoiarmi di meno, tra un regolo e l'altro parlavo con Davide. Il problema è che tra una chiacchiera e l'altra aggiunsi un quadrato di troppo al disegno del mio regolo, proprio nel momento esatto in cui la maestra Sorrentino stava passando tra i banchi.
L'eccesso di quadrati unito all'accesso di chiacchiere scatenò in lei una reazione rimasta impressa nella mia mente (e per un certo periodo anche sulla mia faccia): mi tirò uno schiaffo a mano aperta. Da bambino coraggioso qual ero scoppiai immediatamente a piangere, sotto il fuoco di fila delle sue parole. Mi rimproverava il fatto di distrarmi e, cosa ancora peggiore, di distrarre il mio compagno di banco. Non ricordo come proseguii la mattinata, ricordo solo che all'uscita corsi immediatamente a dirlo a mia zia e che lei ne parlò subito con la maestra (ma, forse, potrebbe anche essere stata la maestra a cercare mia zia per spiegarle l'accaduto).
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Attenzione: aggiungere un quadrato di troppo al regolo arancione potrebbe nuocere gravemente alla vostra salute. |
Se volessi indossare i panni del giovane-anziano-che-parla-dei-tempi-andati dovrei dire che una volta giunto a casa presi un'altra sonora dose di schiaffi per sottolineare la gravità del mio comportamento a scuola ma, fortunatamente, dalle mie parti le punizioni corporali non sono mai state in voga. Dovrei dire che se fosse accaduto oggi, i genitori sarebbero corsi immediatamente a sporgere denuncia o a sporgere il corpo della maestra fuori della finestra (ricordo che le scuole non hanno balconi).
Vista la mia incapacità di esprimere un giudizio complessivo sulla vicenda, concluderò elencando alcune nozioni incontrovertibili che si possono dedurre da questa storia:
- a distanza di anni, continuo a parlare quando non dovrei e persevero nel mio silenzio quando invece dovrei parlare;
- la matematica è fonte di sofferenza.
Ogni volta che finivo di leggere un libro, mia zia Gabriella mi chiedeva che cosa mi avesse insegnato quel libro: non importava che fosse un romanzo storico, una raccolta di racconti di Bukowski o un saggio, la domanda era sempre quella. E voi cosa avete imparato leggendo tutto questo? Vi risparmio la fatica, ecco cosa potrete rispondere alle vostre zie Gabriella: "che si venga schiaffeggiati per un regolo in più o per qualche chiacchiera di troppo, ricordiamoci che ce la siamo cercata".