lunedì 4 novembre 2013

Quella volta che incontrai la mascotte di Italia '90

Quando ero piccolo molti miei fine settimana venivano trascorsi fuori casa. Ai miei genitori piaceva scoprire i luoghi meno turistici ed io, ovviamente, mi trovavo sempre al loro seguito. Comodamente accomodato sul sedile posteriore della Ford Escort di famiglia mi divertivo a giocare con i Transformers o a leggere Topolino. Avevo anche una console portatile - il Sega Game Gear - ma essendo a colori prosciugava molto rapidamente le batterie. Ogni volta che lo scambiavo con il Nintendo Game Boy - display monocromatico - di qualche amico ci trovavamo puntualmente ad affrontare percorsi stradali che prevedevano un numero pressoché interminabile di gallerie, facendomi maledire lo scambio di console.

Una Sony PSP (anni 2000) confrontata con un Sega Game Gear (anni '90): l'evidente differenza di peso spiega l'evidente differenza di struttura fisica tra i ragazzini di allora ed i ragazzini del giorno d'oggi.

In occasione di queste trasferte familiari i miei genitori mi davano la possibilità di allontanarmi da loro per poter osservare più da vicino ogni corso d'acqua incontrassi. Sin da piccolo ho infatti nutrito una passione smodata per i corsi d'acqua: fiumi, ruscelli, torrenti, canali d'irrigazione hanno sempre attratto il mio interesse. Una delle mie attività ricreative preferite era quella di costruire dighe di sassi in prossimità di corsi d'acqua naturali. In caso di canali artificiali, invece, bramavo sempre l'idea di poter alzare ed abbassare le saracinesche al mio comando: vedere l'acqua erompere da sotto la saracinesca o fissare con attenzione la perdita di potenza dell'acqua una volta riportata la saracinesca in posizione mi ha sempre dato soddisfazione.

Escludendo quella volta in cui, per avvicinarmi ad un torrente, sono rotolato in mezzo alle ortiche per poi finire in acqua, uno degli eventi rimasti impressi nella mia mente è sicuramente l'incontro con la mascotte di Italia '90.

A me il calcio non è mai piaciuto. Di più: io, da piccolo, non ho mai voluto giocare a calcio. Non sapevo palleggiare. Non ero veloce. Avevo paura della palla. Ancora adesso quando mi ritrovo a giocare a calcetto il modo più semplice per segnarmi un gol è far finta di tirare una bordata: prima ancora che colpiate la palla io vi avrò già voltato le spalle lasciando la porta indifesa. Ai tempi, la cosa che mi veniva meglio era stare fermo immobile (nomen omen) sperando che la palla impattasse con me o con i miei piedi (a 10 portavo scarpe numero 44). Nonostante tutto questo a me la mascotte di Italia '90 piaceva.

Non so perché ma, sotto la mascotte, io leggo "Italia 90°".

Forse perché ha suscitato tante critiche o perché dava l'impressione di essere troppo fredda, sta di fatto che a me risultasse simpatica. Io la incontrai personalmente, questa mascotte. Si trovava nel letto di un torrente in Liguria. Il torrente, come molti altri corsi d'acqua dal regime irregolare, era reduce da una piena - d'acqua: niente risultati degni di essere festeggiati durante Italia '90 - e, non si sa come, aveva incontrato sul suo percorso una versione di Ciao (questo il nome della mascotte) alta circa 1 metro. Attratto dalla sua presenza e richiesto il permesso ai miei genitori, mi ero avvicinato al letto del fiume per osservarla meglio.

Sporco di fango, Ciao era per metà sommerso. Inclinato verso sinistra sembrava voler nascondere la sua testa di palla nel pantano. Avessi scattato una foto in bianco e nero sarebbe potuta diventare la copertina perfetta per un album dark. La cosa, di per sé, non mi avrebbe segnato particolarmente se non fosse che, a meno di una decina di metri da Ciao, c'era un gruppetto assortito di giovani in piena pubertà.

Al giorno d'oggi avrebbero cercato di rubarmi lo smartphone - che non avevo - o i soldi - non avevo nemmeno quelli. Allora, invece, si limitarono a compiere qualcosa di ben più grave: mi rivolsero la parola. Chiaramente non erano interessati né a sapere quanti anni avessi, né a sapere il mio nome né tanto meno a chiedermi come andassi a scuola: volevano scoprire se io dicessi le parolacce.

Giovani che fanno amicizia.
A quel tempo io non ne dicevo. Mi limitavo a rubare qualcosina nel negozio di alimentari vicino casa - o forse avrei cominciato a farlo qualche anno più tardi. Sta di fatto che io le parolacce non le dicevo, non le consideravo parte del mio vocabolario quotidiano. Le richieste di quel gruppo di ragazzi - che vedevo dannatamente più grandi di me - mi lasciavano senza risposte.
"Prova a dire vaffanculo"
"Riesci a dire merda? Prova a dire qui è pieno di merda"
"Lo sai che qui ci vengono le puttane?"
La mia risposta ad ognuna di queste frasi era un assordante silenzio. Più il mio silenzio si faceva profondo, più loro incalzavano il ritmo. Più il mio sguardo si abbassava, più loro marcavano le parolacce.

Dopo qualche minuto di impasse misi in pratica la soluzione che avrei dovuto attuare subito - e che avrei impiegato altre volte, in futuro: mi diedi alla fuga. Correndo verso i miei genitori inciampai diverse volte, rischiai di finire faccia a terra altrettante volte e terminai la mia corsa con un fiatone terrificante. I miei genitori mi fissarono perplessi e mi chiesero come mai stessi correndo come un matto. La mia risposta - da bugiardo quale ero - fu molto semplice: pensavo ve ne foste andati e mi aveste lasciato qui da solo. Sguardo di intesa tra loro, sguardo benevolo nei miei confronti. Ci incamminammo tranquillamente verso la macchina.

Addio mascotte di Italia '90, addio torrente fangoso. Benvenute parolacce.

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